giovedì 26 febbraio 2015

De André nel trita-parole



De André non è stato mai di moda.
E infatti la moda,
effimera per definizione, passa.
Le canzoni di Fabrizio restano.
(Nicola Piovani) 


Prendere i testi di De André e metterli dentro il trita-parole, come ho fatto per Sanremo, mi mette soggezione. Sono Davide contro Golia: non mi sono mai sentita abbastanza "sapiente" in fatto di musica per poter parlare del paroliere migliore della storia. Ma potevo non parlare del paroliere migliore della storia?
Quindi io prenderò con le pinze i testi di De André, con reverenza chirurgica, e voi che leggete prenderete con le pinze quello che scrivo.
Abbiate pietà.


Due premesse.
La prima: De André è morto nel 1999, a 59 anni. Le sue canzoni rientrano ormai, a titolo necessario, nelle antologie di scuola, sezione letteratura del Novecento. A braccetto con Pascoli, Ungaretti, Montale. Ci sono i puristi che storcono il naso, altri (anche critici famosi) che vedono più poesia in un bravo cantautore che non nel peggiore poeta.
La seconda: De André faceva canzoni d'autore. Una definizione un po' oscura per i non addetti. Credo che, per dire se una canzone sia d'autore, bisogna rispondere alla domanda: musica e poesia si toccano? C'è poesia nella musica?
Non voglio entrare nei meandri di che cos'è poesia e cosa non lo è. Semplifichiamo: la poesia usa elementi che, se non ci fossero, non la potremmo classificare come poesia. Tutte quelle cose che avete imparato nelle ore di italiano: figure retoriche, rime, assonanze, allitterazioni, onomatopee, enjambements... questi elementi ci sono nelle canzoni di De André?
Fermi lì.
Parentesi storica: gli antichi poeti greci, ma anche i più recenti provenzali, accompagnavano la lettura dei loro versi con il suono di cetre, lire o liuti. Musica.
Ci sono poesie che si chiamano "sonetto", "canzone", "ballata". C'è il Canzoniere di Petrarca. Ci sono i Canti di Leopardi. Musica, ancora.

La poesia è geneticamente musica.
D'altro... canto, la musica può contenere poesia, se ha impresse le orme della poesia.

E De André era un poeta, oltre che un "musico".
"De André ha scritto pensando alla musica, ma non ha nulla da temere dalla pagina muta di un libro. I testi sono scritti con la musica. Non per la musica" (Roberto Cotroneo).

Andiamo allora ai testi.
Ho preso tre canzoni, che parlano di donne, che parlano d'amore. Tre delle mie preferite in assoluto. Non solo per l'approssimarsi dell'8 marzo, ma anche per riallacciarmi al post su Sanremo (se qualcuno ha voglia, è qui).

Bocca di rosa

La chiamavano bocca di rosa
metteva l'amore, metteva l'amore,
la chiamavano bocca di rosa
metteva l'amore sopra ogni cosa. 

De André usa le ripetizioni, che nella tradizione popolare è il mezzo per far ricordare le parole. De André sceglie anche il ritmo della tarantella, per renderla più orecchiabile. Quanti conoscono Bocca di rosa ma non conoscono De André?
"Bocca di rosa" è già un'icona: non serve dire che aveva il rossetto, che era carnosa, che sbocciava più e più volte. In "bocca di rosa", si spiega tutto. La rosa poi è il simbolo della primavera inoltrata, quasi calda estate, e dell'amore passionale.

Appena scese alla stazione
nel paesino di Sant'Ilario
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un missionario.
Con ironia, De André introduce il paesino, i moralisti, che non hanno l'amore per l'amore di Bocca di rosa. Ultimo verso: una litote, "non si trattava di un missionario", per non dire che era una puttana.

C'è chi l'amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa né l'uno né l'altro
lei lo faceva per passione.
La mia strofa preferita, dove De André fa un catalogo degli amori più comuni, e dice che forse, in fondo, Bocca di Rosa non era una prostituta a tutti gli effetti, ma una donna che sapeva amare bene, e lo faceva col cuore.

Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.
Bocca di rosa è una donna e va un po' con chi le pare; non guarda se l'oggetto del desiderio è libero o è maritato. Sottigliezze (e di nuovo l'ironia di De André).

E fu così che da un giorno all'altro
bocca di rosa si tirò addosso
l'ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l'osso.
 
Come in un racconto omerico, Bocca di rosa caldeggia l'"ira funesta" delle donne del paese, che diventano vittime di una metafora azzeccata: "cagnette a cui aveva sottratto l'osso". "Osso" sarebbero i mariti, e De André va di sineddoche (una parte per il tutto), per non dire un'oscenità. Touché.

Ma le comari di un paesino
non brillano certo in iniziativa
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all'invettiva.
Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.
Così una vecchia mai stata moglie
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto. 

Ascoltate la musicalità di queste frasi e poi dite ancora che De André non sapeva scrivere. Ci sono le rime alternate (iniziativa-invettiva, tempio-esempio); ci sono le ripetizioni ad hoc (buoni consigli, consiglio giusto); c'è il bene contro il male (buoni consigli-cattivo esempio; moglie senza più voglie); c'è il riferimento biblico (Gesù nel tempio).
E rivolgendosi alle cornute
le apostrofò con parole argute:
"il furto d'amore sarà punito-
disse- dall'ordine costituito".
E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
"quella schifosa ha già troppi clienti
più di un consorzio alimentare".
E l'iperbole? "Quella schifosa ha più clienti di un consorzio alimentare". Entra in ballo la legge: viene costituito addirittura un "furto d'amore".

E arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi con i pennacchi
e arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi e con le armi.
I numeri e pochi elementi: "quattro", "i pennacchi", "le armi": non serve altro per dire che Bocca di rosa è nei guai.

Spesso gli sbirri e i carabinieri
al proprio dovere vengono meno
ma non quando sono in alta uniforme
e l'accompagnarono al primo treno
Alla stazione c'erano tutti
dal commissario al sagrestano
alla stazione c'erano tutti
con gli occhi rossi e il cappello in mano,
a salutare chi per un poco
senza pretese, senza pretese,
a salutare chi per un poco
portò l'amore nel paese.
C'era un cartello giallo
con una scritta nera
diceva "Addio bocca di rosa
con te se ne parte la primavera". 
L'immagine dell'intero paese alla stazione; gli occhi rossi; il cappello in mano... è l'addio a Bocca di rosa, che, moralismi o no, l'amore con sé lo aveva portato. I colori giallo e nero. "Se ne parte la primavera", metafora per giovinezza e amore.

Ma una notizia un po' originale
non ha bisogno di alcun giornale
come una freccia dall'arco scocca
vola veloce di bocca in bocca.
Icastica la similitudine della notizia che passa di bocca in bocca con la velocità di una freccia scoccata dall'arco.

E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva
chi mandò un bacio, chi gettò un fiore
chi si prenota per due ore.
Persino il parroco che non disprezza
fra un miserere e un'estrema unzione
il bene effimero della bellezza
la vuole accanto in processione.
E con la Vergine in prima fila
e bocca di rosa poco lontano
si porta a spasso per il paese
l'amore sacro e l'amor profano. 
E così, ecco il senso della canzone: baci, fiori, "prenotazioni", ma anche un parroco che invoca pietà e dà l'estrema unzione alla bellezza che se ne va. Da una parte Bocca di rosa, dall'altra la Vergine: amor profano e amor sacro, connubio che Bocca di rosa serba sui suoi seni e nel suo cuore.
C'è amor sacro senza amor profano?
Sacrilegio è accostare l'amore messo in vendita e la tenerezza dei sentimenti?
La gioia di vivere vince sui moralismi?
De André lo chiede a noi.

Via del Campo

Via del Campo c'è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.
Anche in questa canzone De André ci canta di una prostituta (via del Campo, a Genova, era notoriamente malfamata). La prostituta in questione, però, che richiama candore, purezza e malinconia: è "graziosa", ha "occhi color di foglia", vende la stessa "rosa" (metafora per la sua sessualità). I commentatori riconoscono che per De André la prostituta non è mai una figura colpevole di quello che fa: la canta con delicatezza e bonarietà, con rispetto quasi. La colpa è, semmai, di chi approfitta di lei. Per questo gli è stata data la nomea di "cantautore degli emarginati", "poeta degli sconfitti". La prostituta di via del Campo, alla fine, viene quasi beatificata: De André pensava che gli ultimi, i ceti più bassi, fossero i più puri, perché i più liberi da ipocrisie e regole imposte.

Via del Campo c'è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.
Toni gentili per questa prostituta, che è pura come una "bambina" e fa nascere fiori dove cammina (speranza). I colori: "rugiada", "grigi". Niente di forte. Un ritratto delicato.

Via del Campo c'è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano
De André la chiama finalmente per nome: "puttana". Ma senza scandalo. Ogni cosa la si chiama col suo nome. Lei è bella, intoccabile per quegli occhi verdi, eppure docile; basta tenderle una mano per amarla. C'è un contrasto: sono gli innamorati che si prendono per mano, non le prostitute e i clienti. Esce l'umanità di De André: per lui le prostitute sono persone migliori di altre.
E ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano. 
"Sorriso" e "paradiso": ancora immagini positive, candide, luminose per una donna che luminosa non è (ancora un riferimento velato alla Madonna). Via del Campo, all'epoca in cui fu scritta la canzone, era un ambiente degradato, infrequentabile sia di giorno che di notte; De Andrélo eleva, e dal "primo piano" sale al cielo.

Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso. 
Forse questa donna non è lì per sua scelta, vorrebbe sposarsi ma non può. Struggente immaginare il viso di lui che la vede allontanarsi e chiudere il balcone (e il suo cuore).

Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior. 
La strofa dell'amore, che ricorda il dantesco "Amor che null'ha amato...". E le ultime due famose metafore, inseparabili: i "diamanti", simbolo del mondo ricco ma ipocrita e freddo, e il "letame", simbolo del mondo umile, sporco e reietto cui lei appartiene, che è però pieno di passione e di umanità.
De André fa poesia usando parole semplici, perché è così che si fa poesia. Se l'amore arriva, bisogna corrisponderlo; se no, bisogna accettare la sofferenza. Sicuri che, da un dolore libero da ipocrisie, possono ancora nascere i fiori.

Insomma , Via del Campo è una preghiera: agli uomini, perché pratichino l'umanità che è in loro, e non smettano di sperare.

E il ritmo del valzer! La musica di Via del Campo è stata scritta da due mostri sacri, Enzo Jannaci e Dario Fo. Ballatela.
Dolcenera



Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê

Già il titolo, un ossimoro: il nero non è il colore della dolcezza, ma del dolore, del lutto, della morte.
 
Di nuovo: tradizione popolare. De André inserisce esclamazioni in dialetto genovese, che, con un sapore esotico, cambiano l'atmosfera. Cosa è successo? Cosa è successo? C'è elettricità nell'aria. Sta arrivando la pioggia. (Traduzione: Guardala che arriva guarda com'è com'è guardala come arriva guarda che è lei che è lei  guardala come arriva guarda guarda com'è  guardala che arriva che è lei che è lei). De André sceglie un ritmo martellante.

nera che porta via che porta via la via
nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera
nera che picchia forte che butta giù le porte
nu l'è l'aegua ch'à fá baggiá
imbaggiâ imbaggiâ 
 Questa pioggia è metaforicamente nera, perchè porta sfortuna: picchia così forte le porte (rima interna) da buttare giù le porte (personanificazione della pioggia). Ancora il coro che si esprime in genovese (Non è l'acqua che fa sbadigliare chiudere porte e finestre chiudere porte e finestre).

nera di malasorte che ammazza e passa oltre
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna
nera di falde amare che passano le bare
âtru da stramûâ
â nu n'á â nu n'á
Com'è questa pioggia? Biblica, come l'angelo della morte di Mosè, che uccise gli egiziani passando casa per casa (ancora un riferimento alle Sacre scritture). Ingannatrice, perché è come (similitudine) la sfortuna che si nasconde nelle notti senza luna e non si può vedere. Mortale, come la terra che accoglie le bare. Ancora il genovese (Altro da traslocare non ne ha non ne ha).
De Andrè si riferisce a un evento storico: l'alluvione che devastò Genova, la sua Genova, nel 1972.

ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere
ché è venuta per me
è arrivata da un'ora
e l'amore ha l'amore come solo argomento
e il tumulto del cielo ha sbagliato momento 
 acqua che non si aspetta altro che benedetta
acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale sale
acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte
nu l'è l'aaegua de 'na rammâ
'n calabà 'n calabà

(Genovese: Non è l'acqua di un colpo di pioggia, un gran casino un gran casino)
 All'altra donna della canzone, l'acqua, De André dedica un'altra strofa: è acqua maledetta, porta male, non c'è nessun scacciamalocchio che tenga. Distrugge tutto. Distrugge la terra. Distrugge i ponti (personificata di nuovo).
De André immagina che, durante l'alluvione, due innamorati si incontrino. Fuori c'è la morte, nel loro letto la passione. Un amore clandestino, come molti di quelli cantati da De André, tra il protagonista e la moglie di un certo Anselmo. Il protagonista è un "matto" pieno d'amore, come ha detto lo stesso De André, spinto solo dal tumulto che ha dentro, senza rendersi conto del tumulto che imperversa fuori e che è arrivato nel momento sbagliato.

ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare
quando ingorga gli anfratti si ritira e risale
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell'onda
e la lotta si fa scivolosa e profonda
amiala cum'â l'aria amìa cum'â l'è cum'â l'è
amiala cum'â l'aria amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê
(Genovese: Guardala come arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei)
Ma l'incontro degli amanti è solo un sogno. La moglie di Anselmo non ce la fa a scappare all'alluvione: mentre sogna il mare, un'altra ondata sfonda in casa sua, mentre è a letto. Forte l'immagine del "lenzuolo che si gonfia", come i cadaveri annegati, bianchi. Una lotta scivolosa, come dentro gli abissi.

acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti
acqua per fotografie per cercare i complici da maledire
acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti
âtru da camallâ
â nu n'à â nu n'à
(Altro da mettersi in spalla
non ne ha non ne ha)
Un'acqua che non si può fermare, che penetra dal soffitto e che, come un amante violento, stringe i fianchi e non lascia andare.

oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi
acqua che ha fatto sera che adesso si ritira
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente
fredda come un dolore Dolcenera senza cuore
atru de rebellâ
â nu n'à â nu n'à
(Altro da trascinare
non ne ha non ne ha)
Poi l'acqua smette di cadere, si ritira, la battaglia (metafora) è finita. L'acqua scorre in rivoli tra i piedi dei genovesi come se non fosse colpevole. Fredda, impassibile, come solo il dolore può esserlo (dolore-cuore: rima interna; fredda come: similitudine).

e la moglie di Anselmo sente l'acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza
così fu quell'amore dal mancato finale
così splendido e vero da potervi ingannare
Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
amiala cum'â l'aria amìa amia cum'â l'è
amiala ch'â l'arìa amia ch'â l'è lê ch'â l'è lê
(Guardala che arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com'è
guardala che arriva che è lei che è lei)
E Anselmo? Non rivedrà mai la sua donna, lei che ha i vestiti incollati alla pelle fredda, morta e senza respiro. Lui l'aveva immaginata arrivare così tanto da potersela figurare davanti. Un'immaginazione così reale che ci ha quasi ingannati. Ma il lieto fine non c'è, e De André, burattinaio crudele, chiude il sipario su una storia di amanti sconfitti dalla sorte.
L'amante di Dolcenera è solo. Mortalmente solo.

Grazie ai siti www.giuseppecirigliano.it e significatocanzone.it per avermi aiutato ad analizzare queste poesie.

 
 

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