mercoledì 4 marzo 2015

Atti mancati (non sono Freud, ma...)


 
In psicologia li chiamano "atti mancati" o "lapsus". Cose che dovremmo dire o fare, ma che non facciamo né diciamo. Per motivi diversi.
Oggi, guidando verso l'ufficio, ho trovato coda in una grande rotonda. Davanti, un furgone azzurro che mi toglieva tutta la visuale. Cosa succede? Boh. Alla radio davano "Sola" di Nina Zilli.
Sì, Nina, oggi sento la solitudine, come i vecchi sentono i reumatismi. Esclusa dal mondo, separata, nel mio abitacolo, da gente - tanta - che condivide con me solo questo tratto di strada. Per il resto, niente.
Oggi sento la mancanza. Conseguenza della solitudine (o la solitudine viene prima?), mi mette nel petto una bile che sale. Le persone mi mancano. Delle persone. Incomprensioni, qualche scambio su whatsapp per arrivare a non dirsi niente. Silenzio. Cosa devo fare? Non ho una direzione. Ehi, magari è anche colpa mia. Oh sì. Ma di solito mi riesce di mettere un passo dopo l'altro. Oggi è una capacità fuori controllo.
La coda si muove. Stanno potando alberi. Un omino, con paletta rossa e verde, si sbraccia per farci avanzare. "Avanti! Avanti".
Metto la prima, accelero, ma non mollo la frizione. La macchina va su di giri. Dove vado se non so dove andare? Ditemi qual è la strada? Qual è, per Dio! Finché non me lo dite, io non mi muovo.
Un sant'uomo, per fortuna, dietro di me suona il clacson e rinvengo.
Sono ormai davanti al distributore automatico dell'ufficio quando mi rendo conto di avere appena avuto un atto mancato. E capisco perché li chiamano così: perché, se si verificano, in te si è annidata la mancanza di qualcosa. Comprensione, libertà, intraprendenza. Perdono. Hai perdonato? Io?
E il cervello va in tilt, il cuore incassa il colpo.
Quando le persone mi mancano.

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