domenica 5 luglio 2015

(Altri) spaghi e (altri) bouquet: mio fratello si sposa




Non è un remake due la vendetta del post che ho scritto a dicembre: davvero mio fratello si è sposato.
Ieri.
Ho fatto rotolare in testa il pensiero di scrivere qualcosa per tutto il giorno, come una di quelle caramelle grosse e col ripieno che rigiri in bocca e non finiscono mai.
Scrivo? Non scrivo?
Non è che stia diventando poco sentimentale, ma, se devo dire su che cosa abbia basato il rapporto con mio fratello negli anni, le parole sono all'ultimo posto.
I più criticoni sbotterebbero: "Non parlate mai!". Come se la mancanza di dialogo (inteso come conversazioni a voce) fosse il segnale di una relazione poco sentita. Si sa, tra fratelli non ci si "taglia" sempre fino in fondo.
Il fatto è che il dialogo con mio fratello non è mai sparito.
Solo che... non usiamo le parole.
Sembra banale, ma è così.
Non siamo due chiacchieroni. Il più delle volte, davanti a un caffè, facciamo sbattere il cucchiaino nella tazzina, e quello è l'unico rumore, a parte qualche commento a spot su qualcosa, qualcuno.
Non siamo neanche due che l'affetto o le emozioni li esprimono fisicamente. Baci e abbracci. Naaa.
Siamo fatti così.
E, in questi mesi di preparativi del suo matrimonio con la Bea, ho riscoperto le nostre somiglianze.
La passione per il caffè - meno, lui, per le moke, che finiscono spesso bruciate e colate (dettagli).
L'odio per la pellicola trasparente.
I cani. Lui non ammetterà mai che fa la vocine come me quando "parla" con la cagnolina di casa.
I viaggi. Fratelli che viaggiano insieme non ce ne sono tantissimi, e trovare uno stile di viaggio in comune è cosa difficile, anche con gente esterna. Per il momento i viaggi più belli della vita li ho fatti quando c'era anche lui. Stati Uniti, Islanda.
La montagna. Quella pazza e sudata montagna da cui non riusciamo a stare lontani. La pazza e sudata idea di decidere - la sera - "andiamo in Grappa", e la mattina dopo rinasciamo sui sentieri, respirare a polmoni pieni. Una birra, un panino, la nuca arrossata, il passo "lento ma costante" per superare i punti più faticosi. Me lo ha insegnato lui.

I suoi amici diventano i miei amici con facilità disarmante.
Geloso, come solo può esserlo un fratello più grande.
Quel fratello che non è mai riuscito a farmi commuovere, fino a quando, alla sua laurea - in ottobre - gli ho regalato dei libri sulla montagna e mi ha abbracciata stretta come non aveva fatto neanche per gioco se eravamo piccoli e ci procuravamo lividi a vicenda. "Grazie, Vale".
A me bastano quelle due parole lì, se vogliamo parlare di parole.
A me basta sapere che, se buco una gomma della macchina o se devo nascondere un cadavere in piena notte, lo chiamo e lui arriva.
"La vita è una cordata in salita, e se farla insieme renderà il cammino meno impervio, io ci sono".
Ale è un compagno di cordata. E quando si sale, non c'è il fiato per le parole. Hai bisogno di qualcuno che continui a camminare, così tu puoi guardargli i piedi e non fermarti.
Ale mi ha aiutato a non fermarti. In montagna e... "a valle".
Ale mi ha caricata in macchina quando - per motivi arcani - non volevo più uscire di casa.
Ale mi lascia esprimere dubbi e critiche e mi ha mostrato come fare usando la logica e il ragionamento.

"Restare noi stessi, senza perdersi di vista". Lo dicevano due amici in un film, dando una connotazione forse meno romantica alla loro amicizia, ma pratica, obiettiva, bella.

Ieri si è sposato con la Bea e mai, mai - giuro - ho pensato: "Ecco, l'ho perso". Come tanti fanno. Credo che, quella volta, mamma ci abbia legati con quel famoso spago invisibile che, se tiri troppo, ti riporta indietro.
Biologia? Sentimenti?
"Fratellanza".
Quando mamma ci chiamava, si faceva sempre confusione. "Che ha detto? Ale o Vale?".
"Siete proprio fratelli".
Io credo di essere fortunata.

In foto: la bottoniera di papà

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