Il 4 novembre di tanto tempo fa finiva una guerra che tutti abbiamo studiato sui libri, anche più volte, nei diversi cicli scolastici.
Com'è difficile avere il senso della guerra, noi che la guerra non l'abbiamo mai vissuta.
Siamo nati nell'epoca della pace sulla carta, delle intese, degli accordi internazionali.
Non conosciamo il sentimento che si prova a ricevere una cartolina di precetto.
"Tu. Domani. Al fronte".
E non credo che i ragazzi "di una volta" fossero più coraggiosi.
Forse più patriottici. Forse cresciuti col mito dell'eroe che combatte il nemico. Se torni, la medaglia, se non torni, l'onore.
Mi riesce davvero difficile pensare alla loro paura.
Di più, mi riesce davvero difficile capire come, per il gioco degli opposti, crescesse in loro un attaccamento alla vita impensabile.
Il 23 dicembre del 1915 il soldato Ungaretti scriveva una poesia.
Il ragazzo Giuseppe cercava di trovare un significato, e la speranza.
"Non sono mai stato tanto attaccato alla vita".
Come, come ha fatto a scrivere parole del genere, a non impazzire?
Crediti immagine: mostra fotografica La fine della guerra raccontata da un soldato - Lee Miller, Tony Vaccaro, Roma, 2009
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