Quando,
da bambina, sentivo parlare del cancro, me lo immaginavo come una grossa palla
nera, che, da dentro, mangiava le persone in cui trovava casa. Avevo 7 anni, e
quella palla nera si mangiò la zia Roberta. Lei ne aveva 36. Aveva sentito
crescere quel corpo estraneo dentro il suo seno ed era troppo spaventata
anche solo per andare in ospedale.
Stasera
il cancro si è preso la Regi. Un’altra persona a cui io e la mia famiglia
volevamo bene.
Una
donna buona, ottimista, buffa, che aveva già avuto uno scontro faccia a faccia
con “la malattia del secolo”.
Ecco,
prendiamo questa definizione: la malattia del secolo. Come si fa a non sentirsi piccoli
di fronte a una patologia che non si sa quando decida di salvare e quando
condanna?
Ci
sono stati lo sbarco sulla Luna, l’invenzione di internet, degli antibiotici,
delle auto elettriche. Forse nel 2015 le auto voleranno.
E
noi? Noi siamo ancora in balìa di una malattia che si scatena per fattori
genetici o ambiental? Non si sa ancora bene come “funzioni”, non si sa ancora
bene come affrontarla.
Altro
che macchine elettriche.
Giriamo,
tronfi, smartphone alla mano e la nostra salute è appesa a un filo.
Parliamo
di politica vuota, di progetti assurdi e irrealizzabili, di fatturati, di
tecnologie, e al più piccolo cambio di sorte, cadiamo. Si sta come d’autunno…
Potrei
arrabbiarmi. Con la medicina, che il cancro lo affronta ancora con mille punti
di domande. Con i medici che non hanno salvato la zia Roberta e la Regi. Con la
zia Roberta che non è andata in ospedale, con i ricercatori che non risolvono
il rebus, con…
Fermati.
Fermati, mi direbbe la Regi.
Col
suo sorriso sdentato e i capelli arruffati, mi direbbe: fermati. E pensa alle cose importanti.
Pensa
a crescere forte, che i giornali o i politici non te lo insegnano, ma la tua
famiglia e i tuoi amici, sì.
Pensa
a sorridere, anche quando non ne hai nessuna voglia.
Pensa
a prenderti cura del tuo corpo, anche se è imperfetto.
E
non avere paura.
Non avere paura, perché la
paura è la palla nera più grossa che esista.
Il
cancro nasce da cellule impazzite, ma si alimenta di pensieri cattivi, di
debolezze. La Regi non ce la faceva più, e ha mollato la presa. Per fortuna non
ha mollato la presa sulla mia testa e sul mio cuore, che rimuginano e rimuginano,
mentre scrivo su un’onda emotiva mai sentita prima.
“Non
è giusto”.
“Perché
lei?”.
“Non
è giusto”.
Vorrei avere nove vite
come i gatti, e poterne darne una a quelli che vorrei fossero ancora qui.
Ma
la Regi è ancora qui, altrimenti non mi sarei messa al computer per ricordarla.
Sarà
dura immaginarmi un aperitivo al bar senza di lei, le strade del paese senza la
sua 500 grigia, la rubrica del telefono senza il suo numero.
Eri
buona, Regi. Eri bella. Di una bellezza che ha quel sapore particolare, e non
si dimentica.
Adesso
sono arrabbiata, ma non lo sarò a lungo, te lo prometto.
Perché
l’ultima volta che ti ho visto sorridevi. Ed è quella che conta per me.
Ciao
Regi.
Mi sono imbattuta in questo blog per caso. Ho letto con interesse i post. Lo aggiungo ai miei preferiti. Buona giornata e, comunque, ne vale sempre la pena.
RispondiEliminaGrazie per il tuo interesse! E sì, anche grazie a questo blog, mi sto rendendo conto che... ne vale sempre la pena. Un abbraccio
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