Mentre riguardo scene di valzer colorati e treni cristallizzati di ghiaccio che corrono nella imperiale Russia di fine '800, penso che Anna Karenina (2012, Joe Wright) sia l'ultima - l'ennesima - dimostrazione di come film e libri abbiano poco da spartire, almeno quando ci si perde nel tentativo di metterli a confronto.
Libri e corrispondenti film non sono da paragonare. Nessuno può convincermi del contrario.
In passato vagheggiavo anch'io convinzioni come "Meglio il libro del film", "Film povero rispetto al libro", "Non c'è partita...".
E infatti partita non c'è.
Ho iniziato a rendermene conto con Il cacciatore di aquiloni. Una storia alla quale è stato reso perfettamente onore anche con la cinepresa. Meglio: una storia perfettamente raccontata sia sulla pagina che sul video.
Ho capito che quando un film viene tratto dal libro, è come guardare l'ecografia di due gemelli eterozigoti: stesso grembo, ma sacche diverse. Stessa storia, ma linguaggi diversi.
Un libro parla per parole e immaginazione. Un film per immagini e movimento.
Un libro divaga, descrive, costruisce per connessione di idee. Un film mostra, esemplifica, mette sopra una palcoscenico e alza il sipario.
Un libro genera la riflessione e il pensiero intangibile. Un film è immediatezza, si presenta com'è, nella breve durata che gli compete.
I tempi. Solo guardando ai tempi, potremmo capire la differenza: un libro ci accompagna per giorni, settimane, talvolta mesi. Diventa parte del nostro vissuto quotidiano, al punto che lo digeriamo e lo assorbiamo per un personalissimo processo di osmosi. Ci entra dentro lentamente.
Un film, invece, è brevità: due ore - tre per le pellicole più ardite o datate. Se ci è piaciuto, è probabile che lo riguarderemo. Altrimenti uscirà già dalla nostra vita cinefila.
Ecco, quindi, che due gemelli così diversi non sopportano paragoni, e neanche li meritano.
Perché anche se la madre - la storia - è la stessa, strade opposte prendono per arrivare dal pubblico, lettore o spettatore a seconda dei casi.
Ero molto scettica su Anna Karenina. Perché spesso le trasposizioni di grandi classici sono un pasticcio, perché necessitano di sensibilità e una qualche, credo, inclinazione per i film in costume e la letteratura che sta all'origine.
Scettica anche perché Anna Karenina, il libro, non mi ha fatto impazzire.
Perciò il mio nuovo incontro con Joe Wright e i suoi prediletti (Keira Knightley, Matthew MacFadyen... un revival di Orgoglio e pregiudizio) non nasceva sotto una buona stella.
Ma Anna Karenina, il film, mi è piaciuto. E non poco.
Curati nel dettaglio l'ambientazione teatrale, i costumi e l'atmosfera. La Russia si anima come un carillon, e girando la chiave prendono a muoversi lampadari, sfondi, slitte sulla neve, giocattoli, principesse e soldati.
Meno azzeccata, forse, la scelta del cast. Stonano l'insipido Vronskij, lo Stiva bonaccione e una Kitty elegantissima nei modi (è una ballerina?) ma piatta nelle espressioni. E Keira me la sarei figurata più tonda nelle forme e con i lineamenti caucasici, ma la sua non è una prestazione da buttare. L'ho trovata matura. Altra cosa dai Pirati dei Caraibi.
In ogni caso, Joe, non importa. Hai fatto un buon lavoro. Che, ovviamente, con il romanzo non ha niente a che fare.
L'Anna Karenina su carta vive di lunghe digressioni e di una coralità che nel film manca. L'Anna Karenina su carta racconta la Russia di Anna Karenina, non in esclusiva la sua liaison col biondo conte.
Ma così giusto è.
Un film può riportare al massimo due o tre storie. Non di più. Il tempo è poco, l'attenzione cala. La scelta di Wright di puntare l'occhio di bue sugli amanti è appropriata. Uno spettatore non potrebbe tollerare oltre. Mostrare la Russia contadina di Levin o quella burocratica di Karenin? A che scopo? Non è un documentario. Si snaturerebbe lo scopo di un film come questo: emozionare, detto molto banalmente. Tenere gli occhi aperti, creare il passaparola, riempire le sale di un cinema. Marketing? No, coinvolgimento. Il cinema è coinvolgimento, l'immagine è coinvolgimento, la musica è coinvolgimento. La parola scritta, invece, è un assaporare intimo di concetti. Insomma, in fondo stiamo parlando di due emisferi cerebrali opposti. E potrei dire lo stesso per il recentissimo Les miserables (che, guarda caso, è stato reso come musical).
Bene, dunque, è tutto a posto. Non voglio più sentir parlare di "adattamento cinematografico". Un vestito si adatta, le persone si adattano, non un'opera creativa. Un'opera creativa ha dignità in sè, autonomia nei suoi strumenti comunicativi, tecniche proprie per avere seguito.
Sono bibliofila, sono cinefila. Passioni che non si escludono, ma soprattutto che non vanno soppesate col bilancino.
Libri e film sono come due amanti, che mi porgono l'uno un mazzo di rose, l'altro un anello con brillante. Posso forse mettere a confronto mazzo e anello? No. Prendo entrambi e ringrazio, senza pensarci tanto su.
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