Ho appena finito di leggere Shantaram (Gregory Roberts) - autobiografia vestita da romanzo di un ex galeotto che fa fortuna in India (consiglio).
Sto leggendo Open - autobiografia con tutti i crismi del "racconto di sé" di Agassi, il tennista (consiglio anche questa).
Leggo, e su questo blog non scrivo più niente.
Mi chiedo come abbiano fatto Roberts e Agassi a mettere nero su bianco (o a far mettere da altri al posto loro... bravi editor, non c'è che dire) quelle loro vite così altalenanti e piene di errori senza vergognarsi.
Una pagina, quando ci scrivi sopra, è peggio di uno specchio: ti rimanda indietro le imperfezioni al millimetro, i più piccoli bozzi.
Se vuoi veramente capirti o capire, scrivi.
Se non vuoi farlo, perché è troppo doloroso... allora smetti di scrivere.
La scrittura è più violenta della psicoanalisi,
più virulenta dei consigli paterni,
più agghiacciante di un brutto voto prima delle pagelle.
Non ti perdona niente.
Nessun "periodo vuoto" di avvenimenti - perché se non hai niente da raccontare, allora vuol dire che la tua vita è vuota.
Nessun controsenso - perché le frasi non stanno in piedi.
Nessuna bugia - perché non puoi bisbigliare, sulla pagina bianca, non puoi mettere la mano davanti alla bocca e fingere di dire qualcos'altro.
Puoi solo provare a nasconderti. Renderti invisibile, lasciando che la data dell'ultimo post diventi sempre più lontana.
Sai, gli impegni, il lavoro...
Puoi farlo. Puoi smettere di scrivere e dire che "va tutto bene".
Basta che non ci sia niente, nero su bianco, a dire il contrario.
So già che mi pentirò di queste righe. Mi diranno: "Qualcosa di più allegro, no?".
Ma adesso mi sento così.
E non scrivo.
Non potevo raccontare bugie.
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