mercoledì 29 agosto 2012

Una seduta dal dottor King

- Prego, signorina, si accomodi.
- Grazie, dottore, e scusi del ritardo.

Dovessi farmi psicoanalizzare, il mio dottore si chiamerebbe King, Stephen King, mi farebbe sdraiare su un divanetto nero di pelle tra mobili di ebano scuro e, di tanto in tanto, prenderebbe una sigaretta dal posacenere per farsi una tirata.
Perché lui di paure ne sa.

Non ho paura dei ragni né di volare. Non ho paura dei cani, dell'alta velocità, non ho paura dei posti affollati o troppo grandi. Niente che finisca in -fobia affligge i miei sonni. Niente che googlato possa rientrare tra "le paure più comuni degli italiani".
Guardavo un video, in pausa pranzo. Su Youtube una ragazza racconta le sue impressioni on the road di un libro che sta leggendo.
Stephen King, nelle pagine iniziali, va a scavare così tanto nella psicologia dei personaggi per farli sentire simili a te, e per farti capire che il mostro, It, evoca tutte le loro paure, tutte in una volta. Immagina di avere davanti tutte le tue paure, tutte in una volta. Cosa faresti?
Dovessi farmi psicoanalizzare, arriverei all'appuntamento in ritardo, e il dottor King mi guarderebbe da dietro un paio di occhiali spessi e una banda di capelli sulla fronte, comprensivo e consapevole che la tendenza al ritardo non me la toglierà di qui a mille sedute.

- Mi dica, signorina. Di che cosa mi vuole parlare?
Ecco, il mio dottore non comincerebbe mai con questa domanda. Che non solo risveglia in me i traumi dell'esame di maturità ("Prego, un argomento a sua scelta"), ma lascia troppo spazio libero alla mia iniziativa. Mi disorienta. Lo stesso effetto che mi fa un "come va" buttato lì da una persona incontrata per caso. "Bene", cos'altro potrei rispondere?
King mi direbbe:
- Di che paura vogliamo parlare oggi?
C'è qualcosa, in fondo, nella mia vita che non sia legato a una qualche paura? Che paura c'è in programma oggi? E sul menu?
- Non quella dei cani, dottore, mi piacciono troppo. E se devo volare, mi basta una pastiglia contro la nausea. Che ne dice se parliamo di mamma e papà?

Luisa, la ragazza di Youtube, che sta leggendo It di Stephen King (il suo canale è luisaa85), parla di paure che cerco di colmare con un grosso respiro.
Eccoli lì, mamma e papà.
- Vede, dottore, ho questa paura di deluderli, continuamente. E perché ho detto no all'università, e perché non mi alzo presto la mattina, e perché non sono nata maschio.
- Non è nata maschio, dice.
- Sì, pare che essere maschi dia qualche privilegio in più, come essere ascoltati e non dover svuotare la lavastoviglie o dar da bere alle piante.
- E le sembrano problemi validi?
- Neanche un po'.
- E quanto la condiziona?
- Tanto da voler saltare la cena, a volte, per non vedermeli davanti.
- Crede che così facendo li "deluda" ancora di più?
- Credo di passare per strana e lunatica.
- Una conseguenza a cui lei non aspira.
- Non molto.
- Ha in mente una soluzione?
- No, dottore, e lei?
- Dovrebbe fare l'università, alzarsi presto la mattina o rinascere maschio.
- Crede che la mia paura non abbia fondamento?
- Sì che ce l'ha, ma forse la sta nutrendo un po' troppo.

A questo punto accenderebbe un'altra sigaretta, si sistemerebbe i calzoni stropicciati sulle ginocchia scoprendo un paio di terribili calzini bianchi.
- Che mi dice del suo lavoro?
- Dobbiamo proprio parlarne?
- Se non le dispiace.
- Dispiacermi cosa? Parlare del mio lavoro o il mio lavoro?
- Lei cosa pensa?
- Che se non mi piace parlare del mio lavoro è un problema.
- Perché?
- Perché il lavoro che faccio dovrebbe piacermi.
- E non è sempre così?
- No.
- Ci vede qualcosa di male?
- Lei cosa ne dice? Cosa direbbe se non le piacesse fare lo strizzacervelli?
- Che non sono diverso da mille altri esseri umani a questo mondo, che alzarsi la mattina non sempre entusiasti è fisiologico, che il lavoro perfetto non esiste.
- Crede di consolarmi?
- Perché dovrei? Non voglio toglierle un pensiero negativo, quanto aiutarla a conviverci.
- A scuola andavo così bene.
- E adesso?
- Adesso ho sempre la sensazione di non fare del mio meglio, la paura di essere licenziata, la tentazione di mollare.
- Per fare che cosa, se mi è lecito?
- Non ne ho idea.
- Cosa c'è di male nel fallire?
- Essere dei falliti.
- E se anche fallisse, non ha gambe e braccia per ricominciare da capo?
- E la testa dove la mette?
- Non ha la testa per ricominciare?
- Sì, ma non mi sostiene sempre.
- Crede che lei e la sua mente siate due cose separate?
- Cosa vuole dire?
- Che forse deve smetterla di sabotarsi. Forse la sua mente non è così debole come lei crede.

Ora mi prenderebbe l'impulso di lanciarmi verso la porta e scappare. Lasciarsi psicoanalizzare è come permettere a qualcuno di spogliarti senza che tu possa opporti, chiedendo almeno che ti lascino la biancheria intima.
- Che rapporto ha con gli altri?
- Vivi e lascia vivere.
- Ci crede fino in fondo?
- Non voglio che mi lascino da sola.
- Quindi lei pensa che se fosse sincera con gli altri, gli altri la lascerebbero da sola.
- Credo di sì.
- Perché?
- Perché ho una personalità complicata.
- Sia più precisa.
- Perché a volte sono insopportabile.
- E chi non lo è?
- Sì, ma gli altri trovano sempre il modo di farsi perdonare, di vivere nel gruppo, di non scappare.
- Lei ha degli amici?
- Sì.
- Perché secondo lei?
- Cosa?
- Se ha degli amici, vuol dire che c'è qualcuno che non la lascia sola.
- Sì.
- Perché?
- Non lo so perché.
- Sì che lo sa. Ci provi.
- Perché mi sopportano.
- E lei non fa lo stesso con loro?
- Sì.
- Ma loro sono comunque migliori di lei.
- Forse.
- Forse o sì?
- Forse.
- Crede che la abbandonerebbero?
- Forse.
- Allora non sono tanto migliori di lei.
- Non volevo dire...
- Non voleva dire che gli altri sono migliori in assoluto, ma solo migliori di lei. Ho ragione?
- Forse.
- Forse glielo dovrebbe dire.
- Che cosa?
- Che si sente inferiore a loro.
- E poi chi vorrebbe bene a una persona così debole?
- Più o meno l'intero genere umano. Mi trovi una persona che non ha bisogno di un amico e mi spoglio nudo sull'Empire state building.
- Lo farebbe davvero?
- Lei inizi a cercare.

La fine di una seduta dal dottor King è come l'ultimo capitolo da scrivere di un libro: la più difficile.
- Mancano pochi minuti al prossimo paziente. Crede di avermi detto tutto?
- Credo di sì.
- E la paralisi?
- Quale paralisi?
- Quella che la prende ogni tanto, che le annebbia la vista e le fa battere in cuore alle tempie. Mi parli di quella.
- Non mi succede.
- Oh sì che le succede. Ultimamente anche più spesso del solito, vero? Quando è stanca, o quando in famiglia litigano, o quando le prendono certe domande esistenziali. "Cosa farò", "Chi mi amerà", "Chi sono".
- Mi sta prendendo in giro?
- Un po'.
- Crede di essere divertente?
- Quanto basta.
- Lei non ha capito niente.
- Davvero?
- Se avesse capito, non mi prenderebbe in giro.
- Perché, non si devono prendere in giro le paure?
- Lei non mi prende sul serio.
- Si prende già troppo sul serio lei, non si preoccupi.
- Quindi la finiamo così?
- Se per lei va bene...

Mi alzerei con la stizza di Rossella O'Hara in Via col vento, afferrerei borsa e ombrello (pioverebbe a dirotto), senza guardarmi indietro.
Poi, alla porta, l'incertezza.
- Lei crede che durerà tanto?
- Che cosa?
- La paralisi.
- Oddio, non glielo posso dire. In genere cresciamo e ci evolviamo, e le paure cambiano.
- Quindi cambierà.
- Chi? Lei o il senso di paralisi?
- Tutte e due?
- Prenda It: i personaggi affrontano il mostro 28 anni dopo, e il mostro è rimasto lo stesso. Ma è solo un libro. Santo cielo, nella realtà è tutto più semplice, perché non c'è un trama, non c'è un thriller da scrivere. Lei può cambiare storia in qualunque momento.
- Lei dice?
- Santo cielo, sì.
- Per caso fa anche lo scrittore?
- A tempo perso.
- Beh, arrivederci, dottore, a martedì.
- Arrivederci.


3 commenti:

  1. Quanto hai ragione... Mi dai il numero di questo dottore, quasi quasi ci vado pure io.

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  2. Ecco, ho anche perso un punto di domanda. Vabbè, dai, tanto era una domanda per finta. :)

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  3. Per finta ti rispondo che se vuoi è sempre disponibile :)
    A te farebbe anche un prezzo speciale. Un dolcetto e lo conquisti.

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