venerdì 7 settembre 2012

Pigmalione (pensieri positivi a poco prezzo)

C'era una volta un uomo solitario e misogino che abitava sull'isola di Cipro.
Si chiamava Pigmalione.
Viveva celibe, senza una donna che gli fosse compagna nel letto, nonostante questa condizione fosse considerata fuori dalla morale comune del tempo.
Pigmalione ha solo la sua arte, mirabile: è uno scultore. E un giorno modellò un bianco avorio e una splendida forma gli diede, quale nessuna donna poteva vantare.
La statua che Pigmalione crea è talmente bella che dell'opera sua si innamorò.


L'aspetto è proprio di fanciulla vera. Pigmalione guarda stupito quel corpo, e il suo cuore brucia di passione. La copre di baci, le parla, l'abbraccia. Il corpo le adorna di vesti e di gemme le dita. Tutto le si addice, ma nuda non meno bella appare.

Era giunto intanto il giorno della festa di Venere, in tutta Cipro assai celebrata.
Fumava l'incenso, quando Pigmalione, assolta sugli altari la sua devozione agli dei, si fermò e disse timidamente:
- O dei, se tutto è in vostro potere, concedetemi in sposa - non osò dire "la mia fanciulla d'avorio", ma - una donna simile a quella mia scolpita nell'avorio.
Venere stessa afferrò il senso di quella preghiera.

Al ritorno il giovane, chino sul letto, bacia la statua della sua fanciulla e sembra emani tepore. L'avorio è morbido alle carezze. Pigmalione più volte tocca l'oggetto del suo desiderio: è un corpo vero! Palpitano le vene premute dalle mani. E finalmente, con parole piene di gratitudine a Venere, preme con la sua bocca labbra non finte.

Dietro a questa storia c'è la penna di Ovidio, che la racconta, duemila anni fa, nelle sue Metamorfosi. Più di 12 mila versi sul tema della metamorfosi, del cambiamento.
Oltre a Pigmalione e alla sua statua ci sono Apollo che si innamora di Dafne che si trasforma in alloro fuggendolo; Eco, pazza d'amore per Narciso, innamorato di nessuno se non di se stesso e causa del dolore di lei che di lei consumerà corpo e ossa, lasciandola solo voce; e poi Ermafrodito, figlio di Venere e di Mercurio, ibrido di uomo e donna nato dalla fusione con una ninfa, spinta da cieca passione.
Su tutte queste storie d'amore - tenero, tragico, trasgressivo - si abbatte, benevola o vendicativa, la trasformazione. Esseri umani o divini trasformati in alberi, fiori, creature nuove. Su di essi il peso di una condanna grave o dolorosa o la leggerezza di una consolazione, della liberazione dal tormento.
Gli autori antichi credevano che tutte le azioni degli uomini e degli dei (che poi tanto diversi dagli uomini non erano) fossero spinte da alcuni grandi "motori" invisibili: l'amore, ovviamente, la rabbia, la paura, l'invidia e il desiderio di conoscenza.
Ovidio, in quest'opera, è speciale: possono esserci pulsione sessuale o castità, vecchiaia o giovinezza, morte o rinascita, ma il filo che riallaccia tutto, il sigillo inconfondibile verso cui approda il finale è la metamorfosi.
Si cambia forma nel corpo, si cambia nello spirito. E Ovidio sembra dire: meno male.
Chi non si è mai piaciuto, almeno una volta?
Chi non ha mai voluto cambiare pelle come i serpenti per apparire dopo più bello?
O cambiare testa, opinione, pregiudizi?
Quello che nella vicenda di Pigmalione sembra solo l'ennesimo intervento divino su un uomo che in realtà non pare meritarselo (misogino e solitario) nasconde un piccolo insegnamento, che prima di oggi non avevo mai trovato, anche se all'università l'avevamo studiata. Lo chiamano anche "effetto Pigmalione", l'ho letto oggi in un articolo: lo scultore desiderò così intensamente di avere come compagna quella finta fanciulla da riuscire infine ad averla come donna vera. Venere, dea volubile, capricciosa, si commuove di fronte a quel sentimento e gli concede il dono della felicità.
Una happy end come tante? Una favoletta?
O l'ennesima morale che questi "antichi" spargono un po' come il prezzemolo?
Ma questa storia mi si è incastrata in testa: come se quello che otteniamo, alla fine, fosse semplicemente in linea con quello che abbiamo immaginato. Come se potessimo raggiungere qualsiasi oggetto del nostro desiderio semplicemente dandogli forma con la mente. Prendi entusiasmo e fiducia, mescola bene, metti in forno e aspetta. Qualcosa ne viene fuori di sicuro.
E invece facciamo pensieri negativi, un po' per scaramanzia, ma soprattutto per paura, quando avremmo il potere di renderli reali.
Possiamo cambiare, modellare noi stessi con il solo pensiero. Dal pensiero alle azioni.
Possiamo costruire relazioni più serene e soddisfacenti immaginando noi e le altre persone come creta da lavorare. E se il risultato non ci convince, possiamo appallottolare tutto e ricominciare da capo. Chi ce lo impedisce? Non siamo qui per provare? E sbagliare, e sporcarci le mani, e riderci su, e piangerci sopra, che tanto domani si può ricominciare? Chi dice che debba andare sempre male? Chi dice che sarà sempre un fallimento?
Ci proviamo?

Pigmalione ci è riuscito. Vedi mai che vada bene anche a noi.

Buon weekend.

2 commenti:

  1. Illuminante. E incredibilmente vero. E facile, ahimè, da scordare!

    Grazie per queste parole.

    Claudia

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  2. Aiutandosi l'un con l'altro, forse il lavoro di creazione diventa più semplice. L'importante è "sperimentare" (magari Venere si commuove ancora) :)

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