giovedì 27 giugno 2013

Sfogo di una ragazza con la penna (e il cuore) in mano




Qualcuno ha detto - adesso non ricordo chi - che per diventare bravi scrittori, cioè professionisti della scrittura, bisogna mettere giù almeno qualche riga ogni giorno, anche se è fatica, anche se non piace.

Non mi ricordo chi l'ha detto, e qui cominciano già i problemi.


Perché il dramma di questa vita/professione è prima di tutto la precisione: un giornalista/scrittore non può essere impreciso riguardo a quello che scrive, perché i lettori se ne accorgono subito, si accorgono che manca qualcosa, e il castello di carte crolla. Poco spessore, fonti non verificate: le accuse volano come coltelli di samurai giapponesi.

Poi c'è che non puoi piacere a tutti. Scrivere è come dipingere: i tuoi quadri piacciono, i tuoi non piacciono. E può diventare un problema esistenziale: quando arriva la certezza di aver fatto un buon lavoro? Se il cliente ti chiede di cambiare un intero paragrafo del testo per il suo catalogo, è perché non era scritto bene, o è solo questione di gusto? Se il capo modifica il titolo, è perché non era abbastanza efficace, o è solo che a lui non "suonava"?
Una volta anche Dino Buzzati è stato corretto da un giornalista molto più giovane del Corriere della Sera che non trovava l'inizio del suo articolo abbastanza scorrevole. Non sapeva che fosse Buzzati, e via di penna rossa.
Ma Buzzati resta Buzzati.
O no?

Scrivere non è come redigere una busta paga. Scrivere non è come spedire una raccomandata. Con o senza ricevuta di ritorno? Scrivere non è far tornare i conti con la calcolatrice dietro lo sportello di una bianca. Non si scrive in un sol modo. E anche quando hai "imparato" a farlo (perché la grammatica non la sbagli più, sai come far partire un comunicato stampa, ne capisci un po' di comunicazione aziendale...), ci sarà sempre qualcuno che, inconsciamente, ti lascerà il cuore stilettato e sanguinante dicendoti: "Cambierei qui, qui e qui". Perché ogni testo è figlio partorito di chi scrive, e cambiare una virgola sembra un delitto non punito.
Chi scrive è geloso di ciò che scrive. Chi scrive si arrabbia se non viene capito. Chi scrive impazzisce quando non trova le parole giuste.

Forse questo intendeva qualcuno quando diceva che scegliere di fare il giornalista/lo scrittore vuol dire accettare di mangiare tanta m***a su cucchiaini d'argento. Nobile lavoro, ma impietoso.

E neanche di questa citazione mi ricordo l'autore.

Ma questo non è un post serio.
Forse si era capito.

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