martedì 8 ottobre 2013
Donna uguale seduzione
Io me la immagino Giuditta mentre entra nella tenda di Oloferne.
A capo chino e coperto, prolunga una genuflessione davanti al Nemico, per dimostrargli assoluta arrendevolezza.
Lui resta in piedi, immobile, se non fosse per una leggera inclinazione della testa, un mezzo sorriso, un brillio negli occhi. Me lo immagino curioso, pieno di ego e di potere, voglioso. E come doveva essere un giovane comandante in guerra? Quante donne avrà fatto prigioniere? Quante schiave avrà trascinato nel suo letto?
Giuditta gli sembra come tutte le altre. Forse diversa solo nell'ardire di entrare di sua volontà nell'accampamento.
Ma poi la vede, quando lei si toglie il velo, lo consegna alle ancelle facendo segno di lasciarla: oh sì, è più bella delle altre. Ma sopratutto ha della fierezza nei modi. Si inchina, ma ha una forza che la sorregge, e questo intriga Oloferne, che ordina ai soldati di sedersi ai lati della tenda e di lasciargli il tempo di rimirarla.
Una bellezza ebrea rara. Ma non erano tutte brune e goffe le ebree? Da dove viene questo fiore del deserto? E cos'è quella luce che le vedo nello sguardo?
Pat! Pat! Oloferne batte le mani e rompe l'aria.
Grida: - Vino! Portate del vino!
La guerra è dura, anche per un comandante in salute e rispettato. La guerra è fatica, polvere, scomodità. Oloferne vuole solo dimenticare le battaglie e per un po' divertirsi con l'ebrea.
- Vino! Dannazione! Dov'è il vino!?
Un gruppo di ancelle fa il suo ingresso vestito d'oro e di lussuria. C'è uva nelle anfore, ci sono candele e calici.
Viene portata dentro una tavola, di quelle basse, e Oloferne fa segno a Giuditta di avvicinarsi.
Si siedono e un'ancella versa loro del vino.
Oloferne non ha ancora bevuto nulla, sarà la stanchezza, altrimenti come spiegare quel senso di stordimento che questa donna - o ragazza? Quanti anni avrà? - gli provoca?
Me li immagino mentre brindano.
Oloferne alla notte che sta per arrivare,
Giuditta alla morte dell'uomo che le sta davanti.
Ma per arrivare a questo, serve che si spinga oltre, serve arrivare vicino al limite, per averlo veramente nelle sue mani. E così Giuditta, da ebrea timorata, si trasforma in una donna fatale: languisce i sensi di Oloferne, stuzzica le sue fantasie, versa vino nel suo bicchiere e nella sua bocca per alterare la sua coscienza.
E la tua coscienza, Giuditta? La tua coscienza?
Cosa deve aver provato questa donna, vedova, fedele al dio di Abramo, nella tenda di Oloferne, in quel tabernacolo di peccato, circondata da prostitute e soldati eccitati, accalorata dalle danze, con la pelle nuda esposta agli occhi di tutti...
pentimento?
Paura?
Ebbrezza?
Alcune interpretazioni della storia dicono che Giuditta finì con l'innamorarsi di Oloferne e che fu una prova, se possibile, ancora più dolorosa...
Che prova?
Giuditta non si trovò sul campo di battaglia ad affrontare Oloferne,
non dovette arruolarsi,
neppure sostenere fatiche sovrumane.
Giuditta dovette sedurlo.
Ebbe solo la seduzione come arma nel fodero.
Quindi niente di speciale, si dice. Quante donne hanno fatto ricorso al corpo per avere salva la vita o per guadagnare un pezzo di pane? Quante hanno cercato e trovato nella loro bellezza l'unico mezzo per cambiare le cose?
Allora Giuditta fu una specie di prostituta?
E le donne sono peccatrici di natura?
Sapete, un po' come quando a un caso di violenza si commenta: "Portava una gonna troppo corta".
L'unica differenza è che Giuditta scelse di mettere a disposizione se stessa per sedurre un uomo.
E si concesse a Oloferne?
Entrò nel suo letto?
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