lunedì 26 gennaio 2015

Ho decluterizzato la soffitta!




Nel weekend mi sono imbarcata in un'impresa che qualche casalinga potrebbe definire epica: ripulire la soffitta. Anzi, le soffitte, perché in casa abbiamo due sottotetti e negli anni sono stati imbottiti di cose fino a scoppiare.

Sono le classiche stanze dove finisce la roba che non vuoi più vedere, perché non ti serve più o perché ti ricorda una persona, un evento, un periodo della tua esistenza. Tutti abbiamo una "soffitta": quando lavoravo in un mini market, c'era la corsia dei prodotti "inclassificabili", che non stavano bene né con i detergenti per la casa, né con i prodotti di bellezza, né in profumeria. Li impilavamo lì, sperando che nessun cliente venisse a chiedere il bicabornato o il lucido da scarpe. Ma alla fine imparavi. Nelle case è uguale: oggetti che cucina, bagno o salotto rifiutano di ospitare dopo un po' semplicemente annoiano, e li mettiamo in soffitta.

A me, le soffitte di casa hanno fatto due effetti: bambina, ci passavo le ore, curiosando dappertutto; cresciuta, ho cominciato anch'io a rigettare in quelle stanze ogni tipo di ninnolo, libro, peluche, bigliettino, regalo... e l'insieme ha cominciato a pesare. Quel disordine mi dava fastidio, come se troppe storie fossero bloccate tra gli scatoloni quando invece dovevano volare via ed essere dimenticate... o buttate.

Ecco il campanello: un articolo che parla di "decluttering", letteralmente "fare spazio", eliminando il superfluo che ci lega al passato o a ricordi spiacevoli.
Fa per me, ho pensato: declutterizziamo!
Il processo è cominciato in sordina, dividendo i peluche dalle Barbie. Non credevo nemmeno io, all'inizio, di poter sostenere lo sforzo di rimettere in ordine anni di infanzia e adolescenza miei e dei miei fratelli. Poi è diventata un'azione ossessivo-compulsiva: uno scatolone dietro all'altro, non riuscivo a fermarmi. Paladina della raccolta differenziata, ho diviso i rifiuti, e liberato ceste e scatole che sono diventate casa nuova per gli oggetti che ho deciso di tenere. Il resto, via. Senza rimpianti. E, un po' alla volta, il peso che sentivo sulla testa sta diminuendo.
Non ho finito, ma si vede la luce. E credo che l'"operazione" mi abbia fatto davvero bene (allergia alla polvere a parte).

Cosa ho buttato:
biglietti d'auguri (o d'altro tipo) di persone che non vedo più (aka che sono uscite dalla mia presente vita); ho rivolto loro un pensiero di salute e felicità e le ho lasciate andare;
giocattoli che già all'epoca mi creavano ansia (come il Topolino di plastica con gli occhi spiritati o il pagliaccio con le mani e le scarpe nere); traumi così "piccoli" hanno ripercussioni grandi nel profondo, non è il caso di farsene carico;
i lavori di educazione artistica delle scuole medie, dove prendevo invariabilmente "buono" e che mi hanno abbassato la media per anni; adesso non disegno neanche sui tovagliolini, maledetti disegni;
la Barbie che avevo rubato alla mia vicina di casa perché ero gelosa; sempre la prova di un reato è, meglio liberarsene (e liberarsi anche di quel retrogusto di gelosia);
i poster dei Take that di mia sorella; non ho mai capito cosa ci trovasse in quei "toy boy" con i capelli a spazzola e non lo capisco adesso, ma so che mi hanno rintronato appesi in casa ovunque (per lo stesso motivo mi sono liberata di quel concentrato di trash che era Cioè);
i pupazzi con un occhio solo che non faranno felice nessun altro bambino;
lettere, biglietti, dediche... di "ex" o presunti tali... anche in questo caso, tanta salute e felicità a voi, ma è ora di guardare avanti;
gli album da colorare... già colorati (perché mai li abbiamo tenuti? Sono la triste rimembranza che nessuno, a casa mia, sapeva colorare dentro i bordi).

Cosa ho tenuto:
le mie Barbie, tutte. Le Barbie non si buttano, è un diritto costituzionale tenerle;
i libri e i quaderni di scuola. A scuola ho trascorso alcuni dei momenti più felici (educazione artistica a parte). Mi piaceva la scuola, e quei quaderni, dalle elementari in su, sono la testimonianza di una passione. Divoravo, non apprendevo. Mi divertivo anche con i libri per le vacanze, e ho detto tutto;
le "cartelle" di scuola, quelle che non si chiamavano ancora "zaini", con le "spalle" grosse, i segni di pennarello, un po' ammaccate sul fondo, dove spingevi i libri per fare in fretta alla campanella e dove lasciavi il segno delle natiche quando, tornando a casa a piedi, facevi sobbalzare la cartella su e giù, per passare il tempo;
a proposito di libri: ho tenuto tutti, tutti, tutti i libri della mia infanzia, dai Racconti per ragazze alle enciclopedie sugli animali. Me li ricordo a memoria, e in quelle pagine c'è la lettrice che sono oggi;
l'agenda degli Hanson, dove ho attaccato le foto dei tre fratelli capelloni e dichiarato loro il mio amore (Taylor, perché non mi hai sposato?);
le lettere dei miei "amici di penna", una deliziosa consuetudine della maestra d'italiano che ci faceva corrispondere con alunni di Treviso, altre scuole del Veneto o alunni stranieri. "La mia migliore amica si chiama Francesca, e la tua?". Non eravamo adorabili?;
una collezione innumerabile di Topolino, Minni, Mega2000, Paperinik, Hollie Hobbie, The Witch, Barbie Magazine... cos'è un bambino senza i fumetti?
le macchinine di mio fratello (soprattutto Ferrari, orgoglio italiano) e i giochi in scatola e da viaggio (consumati da polpastrelli smaniosi di vincere);
una girandola, senza vento ma ancora coloratissima;
colori a matita che non hanno finito di colorare;
i diari segreti, quelli con il lucchetto e la chiave legata al lucchetto (giustamente). Io e mia sorella eravamo piene di segreti, ne avrò trovati una decina di quei quaderni con la copertina imbottita, ed era sempre, dolcemente e con un fremito, "Caro diario, come stai?".

Immagine: dal libro Nella soffitta di mia zia, Andy Goodman







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