venerdì 4 marzo 2016

Magda Szabò, La porta e l'amore tra due donne che non possono fare a meno di amarsi





La porta è quella che decidiamo di aprire o no sui nostri sentimenti nelle relazioni con gli altri. Aprirla è un gesto di fiducia, di per sé positivo; ma più la spingi, più diventa pericoloso. Gli altri corrono il rischio di ferirti e di ferirsi; tu non sarai più quello di prima.
La porta è il richiamo dolente di una necessità: vivere assieme. La solitudine, simboleggiata da una porta chiusa e non aperta, è il suo contrario, è un vialetto di neve non spazzato, è una stanza d'ospedale con il cartello "Visite vietate".
La porta è la natura dell'uomo: mostrarsi. Mostrare qualcosa che va nascosto, altrimenti non starebbe dietro a una porta. Perché palesarlo, allora? Perché sottoporsi a uno stillicidio che ha il suono di un cardine male oliato? Perché anche l'essere più schivo (una governante analfabeta, un cane che non ha padrone, una donna che non comunica più con il marito, un gatto imprigionato in una casa buia), anche l'essere, umano o animale, più misantropo non sopravvive a lungo in questa misantropia. Ne va della sua salute fisica e mentale. Quando la protagonista Emerenc aprirà la sua porta (sul passato, sui segreti) si ammalerà di vergogna, e il suo cane, Viola, fedele allo stremo, impazzirà.
Ma nella traduzione di Bruno Ventavoli per Einaudi, il verbo ungherese "szerelem" viene sempre reso con "amare", anche quando significa "volere bene". Non c'è sessualità, né tensione lesbica, ma la protagonista Emerenc e l'altra protagonista, la scrittrice, si amano, in tutto il libro, nella buona e nella cattiva sorte. Inizia con un contratto di lavoro, finirà con un'amicizia straziante da cui entrambe vorranno scappare, ma di cui non potranno fare a meno.
Emerenc non ha marito, non crede in Dio e non "lava i panni al primo che capita": è la donna delle negazioni. Nega tutto, tranne la dedizione al lavoro e agli animali.
La scrittrice invece un marito ce l'ha, la fede in Dio pure e i panni non li ha mai lavati. Al massimo, per cambiare il mondo, batte una macchina da scrivere.
Tra queste due donne nasce un rapporto che non è banale solo se lo si legge.
Emerenc non mi amava in modo qualunque, mi amava come è scritto nella Bibbia, come avrebbe potut leggere lei stessa se mai ne avesse presa in mano una, o se prima di abbandonare la terza elementare le avessero fatto conoscere meglio gli atti degli apostoli. Emerenc non conosceva il verbo di Paolo, ma lo metteva in atto con la sua vita, e non credo che, a parte i miei genitori, mio marito e il mio fratellastro adottivo, ci sia stato qualcun altro che abbia saputo amarmi così intensamente e incondizionatamente come lei.
Emerenc è il tipo di donna che benedici un secondo prima e maledici un secondo dopo. Ruvida, ignorante, si accerta che alla scrittrice e al marito non manchi mai nulla.  Li prende in giro perché frequentano la messa e non li accoglie mai in casa sua.
Cosa c'è dietro alla porta? Lì dove Emerenc ha seppellito una storia della sua vita che lì deve rimanere? L'ironia è che è proprio alla scrittrice che non la vuole raccontare, a una professionista delle storie.
Magda Szabò usa citazioni bibliche e letterarie per rendere ancora più profondo il solco che divide Emerenc dalla scrittrice. Ma su quel solco, sulle differenze (sulle somiglianze?), le due proveranno a ritrovarsi, scansando reciproci insulti e piatti rotti.
Perché non si può amare pacatamente né morigeratamente.
Schopenhauer ha ragione quando sostiene che ogni legame sentimentale rappresenta una potenziale aggressione, da quante più persone ci lasciamo avvicinare tanto più numerosi sono i canali attraverso cui il pericolo può colpirci.
Non fu facile ammettere che Emerenc contava sempre di più, la sua esistenza era diventata una componente essenziale nella mia vita; all'inizio mi spaventava l'idea che un giorno avrei potuto perderla: se le fossi sopravvissuta, nella schiera delle mie ombre ci sarebbe stato un ulteriore fantasma, insaziabile, tormentoso, che mi avrebbe seguita ovunque e gettato nella disperazione.
Ero ancora giovane: non avevo ancora capito fino a che punto l'amore potesse essere una passione illogica, fatale, imprevedibile, eppure conoscevo la letteratura greca, e lì la passione è un'ascia folgorante, brandita insieme dalle mani di morte, amore e carità.

Nessun commento:

Posta un commento