mercoledì 28 marzo 2018

Libera






Si ricordano meglio i momenti dei giorni.
E vale anche per un libero professionista.



Ormai faccio parte di questa categoria da quasi otto anni, sei, sulla carta, da quando ho aperto la partita Iva nel febbraio del 2011. E mi sono accorta che, se frugo nella memoria, trovo i momenti. Quelli che durano poco ma che sono più intensi. Il primo colloquio o il giorno in cui ho consegnato le mie prime dimissioni (era un 13 dicembre). Le email "brava, hai fatto un buon lavoro". Le strette di mano. Le critiche e le mie delusioni. Questi momenti formano un percorso: io salto di sasso in sasso, fino all'ultimo cliente, preso giovedì sera, in una pasticceria, dopo un'intervista al titolare di un'azienda.
Ma, tra un sasso e l'altro, c'è la fiumana dei giorni. Quelli non me li ricordo tutti, nel dettaglio, ma ne sento il peso. Si sa, un libero professionista è libero nella misura in cui è condizionato da quello che fa. Non c'è libera professione senza vincoli. A chi mi dice che sono fortunata perché posso lavorare da casa o perché mi scelgo i miei orari, vorrei trasmettere la sensazione che un lavoro di questo tipo ti lascia addosso - un lavoro che non è migliore o peggiore di altri, sia chiaro. Tutto sta nei giorni, lunghi o frenetici: il mal di schiena per le troppe ore al computer, gli occhi che bruciano, la solitudine di una stanza vuota, la solitudine della tua testa, perché scrivere, come studiare, è un'attività che non puoi fare in gruppo. L'incertezza dello stipendio, l'esultanza di segnare una fattura pagata. Il caffè preso in bar sempre diversi, i tanti uffici, e non puoi affezionarti mai a nessuno. L'identità costruita su te stesso, e non su un'azienda che ti rappresenta. L'arroganza di voler "lasciare il segno", di metterci la firma; l'umiltà di accettare incarichi sempre nuovi, perché sei giornalista, sì, ma se ti chiedono di scrivere su una pagina Facebook o di fare un catalogo o di preparare un discorso, che ti tiri indietro? L'umiltà anche di riconoscere che, per arrotondare, puoi ricevere a casa un ragazzino di terza media per ripetere le regole dei poligoni o fare le pulizie per pagarti la benzina. Convinta che ogni soldo risparmiato è un soldo guadagnato, che non si sa mai, che le idee migliori possono venire mentre cerchi di ricordarti come si somma un polinomio o mentre lavi un pavimento. Questi sono i giorni, che paragonati ai momenti possono non sembrare niente di che. Ma occupano una percentuale preponderante. E quindi? E quindi cerco di dar loro un senso, nel quadro più grande.

A cosa mi servirà continuare a dar ripetizioni o tenere in ordine la casa di qualcun altro? Sono sicura che servirà. Anche al mio lavoro di giornalista. In qualche modo, servirà. E in questa domenica sera che sa già di lunedì, mi tengo stretti i momenti, perché danno la direzione ai giorni. E alimentano la motivazione, che viene sempre da dentro, dicono gli esperti. Non mi disturba aver scritto "giornalista" sulla carta d'identità e poi riempire di cose diverse le mie giornate. Vedo che mi mantiene recettiva, aperta alle dinamiche di ambienti che cambiano di volta in volta. Questo, secondo me, è un libero professionista: chi si cala in vari contesti mantenendo un perché ma senza paura di provare.

Mio papà ha cominciato a viaggiare per lavoro fuori dal Veneto e dall'Italia quando aveva 50 anni. Aveva e ha un nome nell'Asolano, una storia professionale di decenni. Eppure è volato a ristrutturare una moschea e a visitare i porti del Sud Italia.

Questo è il mio esempio. Non credo che si possa essere liberi professionisti in maniera diversa.

Nessun commento:

Posta un commento