lunedì 14 maggio 2018

"Mamma, dov'è la mia corda?"



Diari di una giornalista (quasi) per bene che cerca di raccappezzarsi in questo mondo

Un ragazzo si impicca in casa dopo aver chiesto, qualche giorno prima, alla mamma dove fosse finita la sua corda d'arrampicata preferita.
I genitori chiedono, poi, di parlare ai giornalisti perché "forse" c'entrano i brutti voti, "forse" i bulli a scuola. Non dovremmo fare giornalismo con i "forse", ma il suicidio non rientra nei "dovremmo".

Oggi, a Treviso, corso di formazione dell'Ordine dei giornalisti del Veneto.

Testimonianze dolorose da ascoltare. Una donna. "Il mio parente non c'era più, ma dopo il suo suicidio provavo vergogna, perché la morte è un tabù".

Testimonianze pratiche, quelle dei medici e degli operatori di primo soccorso, che arrivano nell'intimità di una casa quando da rianimare non resta più nessuno. Resta la famiglia da accudire.

Testimonianze professionali, di chi, redattori o collaboratori, stanno tra incudine e martello, tra gli spazi da riempire a tutti i costi (a costo del posto) e i dati sensibili che non potrebbero divulgare. E quel caporedattore che dice: "Pubblica lo stesso".

Appunti sparsi sul mio taccuino.

Nessuno può ragionevolmente dire perché una persona si suicida. Delusioni d'amore, crisi economica... sono fattori scatenanti, ma prima c'è un vissuto. I suicidi lasciano messaggi che però non sono fatti per essere compresi ("Mamma, dov'è la mia corda?")

Giornalista, intérrogati: "Cosa vorrei veder scritto sui giornali se capitasse a me?"
Domande semplici, capite.

I giornali riportano spesso cause non vere per il bisogno, tutto umano, di dare una spiegazione a un fatto razionalmente inspiegabile.

Come scrivere di un suicidio? Con sobrietà. Dire solo ciò che è certo e non probabile.

Sottolineare che esiste un'alternativa: la vita. Effetto Werther (emulazione) vs effetto Papageno (personaggio del Flauto magico di Mozart che ci ripensa)

Chi racconta un suicidio, anche sui social, non lo faccia per i clic, ma per una scelta responsabile e individuale di giornalista (o utente, anche)

Bisogna raccontare sempre? No.

Sì, se il personaggio è pubblico - ma la dignità, la dignità! Vedi Robin Williams.
Sì, se serve a far riflettere una comunità. Si crea un senso di vicinanza nelle comunità non per le notizie buone, ma per le notizie cattive. Coesione Nasce una rete di aiuto. Punti di ascolto. "Tavoli" di confronto. Solo così può avere "interesse pubblico".

Proteggere la vittima, sempre. E chi resta, soprattutto se sono fratelli o sorelle minori.

Il giornalista deve trovare un equilibrio tra l'essere troppo coinvolto emotivamente e l'esserlo troppo poco.

Enzo De Stefani: "Tutti siamo a rischio. Il suicidio fa parte della cultura della vita".

(Nell'immagine, prima pagina del Daily News con la notizia del suicidio di Robin Williams. Titolo glaciale: "Impiccato". In alto a destra "Ha usato la sua cintura", con rischio che venga emulato. In alto a sinistra: altri dettagli "horror". Sotto: "La moglie dormiva nell'altra stanza". Alimentare ancora di più il senso di colpa di lei che non è riuscita a salvarlo? In basso a sinistra: "Era appena uscito da una dipendenza" (non deve essere per forza il motivo scatenante, non presentiamolo come tale)

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